Racconta un po' anche di me.
“Quando
cominciamo a meditare sul significato del nostro passato sembra che
esso riempia tutto il mondo della sua profondità e grandezza.” (J.
Conrad)
Al
mio passato appartengono i temi dei romanzi scelti: sono cresciuta
con le “favole” di Ulisse con la sua Odissea, e Santiago con il
suo Marlin. Storie di mare che mi hanno accompagnata fino ad oggi ma
che solo di recente sono riuscita ad avvicinare.
Entrambe
le opere sono testimonianze della passione autobiografica degli
autori per il mare: “La linea d’ombra” di J. Conrad e “Il
vecchio e il mare” di E. Hemingway.
Esistono
diverse analogie tra i due romanzi che affrontano i diversi aspetti
della vita umana, in un viaggio metafora di vita con le sue
difficoltà, ambizioni, aspettative, delusioni e sofferenze.
I
grandi temi affrontati sono amicizia, speranza, coraggio ma anche
solitudine e sconforto.
Si
svolgono su due linee: quella che divide la giovinezza dalla maturità
e quella che divide la disperazione dalla dignità.
In
entrambe le opere si distinguono 3 momenti comuni: la descrizione
dello stato mentale del protagonista e del suo rapporto con il mondo
che lo circonda; la battaglia per la vita; la sconfitta che è
redenzione.
Conrad
racconta, in prima persona, i travagli esistenziali di un uomo che
varca la linea d’ombra, il limite estremo che separa la giovinezza
piena di facili speranze, dall’età adulta, “periodo
più autoconsapevole e travagliato”.
Il
protagonista si licenzia senza alcuna logica apparente. Vive uno dei
tipici momenti giovanili, la “malattia
dell’ultima giovinezza”:
una corrente che trascina in un limbo dove subentrano molteplici
fattori, consigli, fatti casuali, che influiscono sulle decisioni per
la vita futura. Il ragazzo vorrebbe sciogliersi da tutto, non
ascoltare il capitano Giles, non rispondere a chi lo chiama per
assegnargli la sua missione, eppure ottiene il comando di una nave,
andando addirittura contro il caso che stava per sottrargli
l’occasione della sua vita.
Il
vecchio Santiago di Hemingway vive solo, come se fosse colpito da una
maledizione, e non riesce ad essere quello per cui è nato: un
pescatore che non prende un pesce da 84 giorni.
Sono
l’affetto e la solidarietà di Manolin, suo discepolo, e l’esempio
di Joe di Maggio che gli permettono di trovare la forza di tornare in
mare da solo in una disperata caccia all’occasione della sua vita.
Del
capitano non si sa il nome e neppure l’aspetto fisico ma ugualmente
riesce a rivelarci le pieghe più nascoste del proprio animo.
Dall’entusiasmo del primo comando, che segna l’inizio
dell’avventura, alla coscienza scossa dagli eventi negativi e
portata a confrontarsi con l’intero arco dell’esistenza.
In
questo racconto il mare non è il protagonista: la “calma piatta”
rappresenta un momento di fermata, morte e disperazione ma anche di
riflessione e di battaglia per la vita.
L’avventura
del pescatore descrive la disperata lotta per la sopravvivenza, dove
il mare occupa un ruolo centrale e i sentimenti umani si mescolano a
quelli per la natura: il mare e le sue creature rappresentano ragione
di vita e talvolta di morte.
La
battaglia tra Santiago e l’enorme pesce spada dura giorni: da un
lato della lenza c’è il pescatore solo, stanco, affamato e
assetato e all’altra estremità c’è la vita, la forza di una
creatura da rispettare, perché in fondo non ha cercato la battaglia.
Al
termine della lotta il pescatore è contento di aver vinto la natura
ma risentito per aver ucciso un essere vivente, animale forte e solo,
con il quale arriva addirittura ad identificarsi.
Le
avventure del capitano e del pescatore sono un pretesto per scavare a
fondo nella propria coscienza e ritrovare la forza e la voglia di
sopravvivere. Entrambe riescono a creare un senso di stupore e
incredulità di fronte a eventi umani e naturali, e al tempo stesso
un senso di partecipazione delle vicende e delle situazioni: il
lettore diventa un compagno nella medesima avventura del vivere.
Si
riesce a respirare l’odore del mare, a provare i tormenti e le
sensazioni dei protagonisti, che danno voce all’interiorità di
ogni uomo. Si ha la percezione di trovarsi in quella barca, di
allungare la mano per reggere quel timone o quella lenza ed alleviare
le sofferenze del capitano o del vecchio anche solo per un istante.
Sull’immobilità
della nave, l’apatia, la disperazione, arriva una tempesta che
sconvolgerà l’equilibrio di morte e consentirà di varcare il
luogo di confine: porterà alla luce.
Il
protagonista è vincitore e sconfitto al tempo stesso, pieno di senso
di colpa per l’impotenza provata nei giorni di calma piatta, quando
invece credeva di aver assunto il controllo della propria vita.
Si
sente vecchio, la giovinezza è solo un pallido ricordo in quel
viaggio che, anche se breve, ha attraversato tutte le stanze
dell’esistenza.
Anche
Santiago torna sconfitto: il Marlin preda, trofeo, simbolo del
trionfo viene divorato dagli squali prima di tornare in porto. Eppure
anche il vecchio è vincitore: ha ritrovato la speranza.
Raccontano
due storie capaci, non solo di emozionare e di coinvolgere, ma di
proiettare, attraverso l’azione, nell’esplorazione della vita
interiore, di stimolare la riflessione, di farsi vicino a chi legge
per condividere la stessa natura, liberi dal tempo e dal ruolo del
personaggio.
Ogni
singola frase, ogni parola, ha un significato che va oltre, scava
nell’anima.
Dalla
battaglia col trascorrere del tempo e contro i suoi limiti, maturità,
vecchiaia e morte, l’uomo esce provato ma non sconfitto. Non è la
vittoria ma la voglia di combattere per un ideale che avvince il
lettore, esattamente come nella vita.
E’
la solidarietà il motore che conduce al traguardo entrambi i
protagonisti: solidarietà nei confronti dell’equipaggio nel primo,
e solidarietà nei confronti del “fratello” pesce che si è
immolato per riaccendere la speranza nella vita.
Come
il capitano ho vissuto il mio passaggio dalla giovinezza alla
maturità, passando dalle crisi al deserto, dalla malattia alla
tempesta fino alla redenzione. Allo stesso tempo mi sono persa col
vecchio pescatore in mare aperto, ho visto abboccare il pesce, l’ho
visto saltare, ho lottato e ho pianto con lui quando gli squali me
l’hanno portato via.
Esattamente
come piangevo da bambina quando mio padre, marinaio e pescatore,
raccontava la storia di Santiago, ma non gli sarò mai abbastanza
grata per avermi trasmesso la speranza, perché un uomo può morire
ma non può essere sconfitto.
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